domenica 11 aprile 2010

Difficile semplicità

La semplicità è difficile. Lo sanno bene gli autori di libri per l’infanzia, alla ricerca di espressioni immediate in grado di fare breccia nella fantasia dei loro piccoli lettori. Lo sanno bene gli artigiani che sanno dare ai loro oggetti le forme più armoniche, riuscendo soltanto attraverso un lavoro infinito a imitare quello che in natura si dà spontaneamente. Lo esprimeva chiaramente anche Giacomo Leopardi, consapevole che per ottenere gli incanti delle suggestioni dell’infanzia non si poteva «balbettar come fanciulli», ma era necessario approfondire la propria coscienza e la propria scrittura, fino a eliminare poco per volta tutto il superfluo, trovando così un parlar sommo, in grado di avere la forza semplice di un immediato contatto con le cose e con la Natura.
Il realismo in pittura è sempre andato alla ricerca di questo contatto con la realtà, cercando di ricrearne l’impatto immediato, corrispondendo alla forza di suggestione di un panorama mozzafiato o alla malinconia misteriosa di una sera immersa nella nebbia. Ha cercato di afferrare e riprodurre il gioco delle forme e dei colori, lasciando spesso senza parole, proprio perché in questa ricerca si poneva al di là del pretesa didascalica del racconto di una storia. Al centro del quadro c’è soltanto la visione e la partecipazione dello spettatore a ciò che aveva di fronte, la ricerca di ricomposione di un’unità che il tempo, con il suo scorrere, tende a dividere. Non possiamo restare per sempre fermi a contemplare un paesaggio, e quel paesaggio non sarà mai lo stesso ogni volta che vi scaglieremo nuovamente uno sguardo. La pittura cerca pertanto di fissare permanentemente una fuggevole impressione, e di darvi i colori e i riflessi di un’emozione, prima ancora di raffigurare una particolare composizione di forme e colori reali. Così, quell’unità tra l’impressione della cosa dipinta e di quella reale non lascia spazio per nessun’altra sovraimpressione, fosse anche soltanto quella di una parola in grado di nominarle. Sono lì semplicemente, a raccontare l’incanto di un impossibile abbraccio eterno.
Nei quadri di Laura Marcaccio si avverte chiaramente la ricerca di una corrispondenza con i propri soggetti. E proprio perché non può permettersi di raffigurarli così come sono, la sua pittura fa esperienza della fatica della semplicità. Da un lato sono le tecniche utilizzate a imporre di ricomporre l’immagine. L’acquerello è una pittura rapida, ma che sfugge altrettanto rapidamente sulla tela e smarrisce i dettagli; la più meditata pittura ad olio consente una realizzazione più precisa, ma di conseguenza cresce a distanza, attraverso lunghi intervalli di tempo. Ma soprattutto, questi mutamenti sono dovuti alla necessità di trovare spazio anche per corrispondere all’emozione che i soggetti hanno suscitato in chi li dipinge. Non si tratta di fotografare oggettivamente ciò che si trova di fronte ai propri occhi, ma di riproporre un evento che è scaturito dietro di essi, tra la testa e il cuore. Per questo i paesaggi e personaggi qui in mostra, sono “di Marca” in un duplice senso: sono momenti che appartengono a questa regione e al suo patrimonio di luoghi, tradizioni, persone, ma al tempo stesso esprimono la mano e lo sguardo attraverso i quali sono filtrati, in uno stile al tempo stesso semplice ed elaborato.
Sui tetti delle case e sui paesaggi di campagna, negli abiti di chi fa vivere il folklore cittadino come nei eterni gesti rituali della pesca, si ritrova la stessa “aria di famiglia”, che non si origina soltanto dal comune soggetto, ma anche da un’altra co-protagonista, la luce. In ogni quadro si ritrova costantemente il riverberare di colori accesi che immergono i soggetti raffigurati in un costante bagno di luce, che non brucia ma riscalda delicatamente. E gli stessi paesaggi e ritratti affiorano attraverso un’aura di bianco che li pervade in più punti, come momenti di pausa, in grado di sollevare lo sguardo e sospendere la visione per un attimo soltanto, in cui ogni connotazione realistica viene smarrita per trasfigurarsi in una realtà separata, seppur non estranea. Qui, nel mutare delle tonalità di colore e nel loro riaffermarsi baluginanti fino a esplodere in macchie bianche sulla tela, Laura reinterpreta il vibrare della luce per tesserne un ricamo differente, in grado non solo di dar corpo all’emozione, ma anche di immergerla nell’atmosfera rarefatta e indefinita del ricordo.

Stefano Mazzoni